Tra il 1509 e il 1516, periodo nel quale Brescia fu conquistata dal re di Francia per poi tornare alla Serenissima al termine della guerra, la Repubblica Veneta volle rendere più sicura Brescia, modificando le vecchie fortificazioni e ordinando l'abbattimento degli edifici intorno alle mura per un raggio di un chilometro e mezzo. I frati minori vennero in seguito risarciti da Venezia per gli edifici sacrificati e si ritrovarono così con una notevole liquidità finanziaria. Questo permise loro, con l’aiuto del comune di Brescia, di erigere, ex novo sia la chiesa che il convento, che essi, per assecondare il volere della città, intitolarono a San Giuseppe. Il convento di S. Giuseppe prosperò e da esso nacquero molti dei conventi e delle chiese francescane anche fuori dalla Provincia di Brescia. Nel 1801 Napoleone sopresse il credo dei frati minori lasciando tuttavia la chiesa aperta al pubblico, mentre il convento veniva aggiunto al demanio. Dopo la costituzione del Regno d'Italia, nel 1864, il Ministero di Grazia e Giustizia, con il benestare dei sindaci e dei prefetti di molte città italiane, presentò alla Camera un “Progetto di legge relativo alla soppressione di corporazioni religiose” e San Giuseppe fu inserito nell'elenco delle soppressioni. Nel 1896, la chiesa di San Giuseppe, di proprietà del demanio, tornò a essere a disposizione del culto. Solo nel 1973 il terzo chiostro venne acquistato dalla diocesi, con il vincolo di destinazione a Museo diocesano. Ancora presente nell'ex monastero trova sede il Museo diocesano di Brescia.
Triduo della chiesa di San Giuseppe:
Questo apparato, risalente al secondo decennio del XVIII sec., viene descritto da cronache coeve che fanno riferimento ad un catafalco dipinto con teschi e anime purganti, composto da più piramidi con decorazioni statuarie, iscrizioni, candele e lampade ad olio, che illuminano l’intera struttura. Le parti rimaste compongono l'altare maggiore presso cui si trova la scala dipinta a finto marmo che permette di accedere al presbiterio, sempre di legno sono le chiocche (candelabri a sedici bracci trasformati in lampadari prima del 1961) disposti tra le arcate della navata e gli scudi (placche intagliate in ebano) collocati sui pilastri. Gli elementi originari in legno di pioppo intagliato e dipinto non sono esattamente quantificabili a causa del riutilizzo come arredi della chiesa o della dispersione negli ambienti di deposito.
Gli elementi principali che compongono il Triduo sono 8 grandi chiocche in discreto stato di conservazione. Attualmente colorate in nero presentano fratture e caduta dello strato pittorico, pur mantenendo una struttura stabile. In ottime condizioni troviamo il trono, le mense, il leggio e i doppieri, riutilizzati poi nel corso del tempo. La coloritura è recente, verniciati di nero e con dorature in porporina. I 7 scudi sono in buono stato di conservazione e c’è una scalinata con balaustre policroma, la cui superficie presenta scalfitture e consunzioni, riprese pittoriche e alterazione della vernice protettiva. Ritroviamo un candelabro dorato a porporina, 2 candelabri a 4 bracci dipinti con vernice argentata, colpiti da infestazioni di insetti xilofagi e graffi, consunzioni e abrasioni. Una corona dipinta con vernice argentata presenta supporti in ottone per recente sostegno dell'impianto di illuminazione. Per ultimo citiamo le architetture policrome, che sfortunatamente durante i secoli hanno subito danni di varia origine, non venendo tuttavia private del loro antico splendore.
(Asaro Giulia e Peruzzini Francesco)